La filosofia del ‘muoviti velocemente e rompi le cose’ che ispira il nuovo capitalismo digitale della Silicon Valley – dagli anni Ottanta con i computer user friendly della Apple costruiti in cantina, fino ad arrivare allo sviluppo a catena dell’Intelligenza Artificiale di oggi – è sicuramente una delle chiavi per comprendere le azioni della nuova amministrazione Trump, che non casualmente ha inaugurato la sua seconda presidenza circondato dai nuovi oligarchi digitali che grazie ad esenzioni fiscali e commesse governative sono diventati gli uomini più ricchi del mondo. Incurante degli ordini dei tribunali federali e delle disposizioni della stessa Corte Suprema (composta peraltro da sei giudici repubblicani su nove), Trump continua a deportare immigranti (comprese decine di bambini nati negli Usa e cittadini statunitensi), chiude agenzie federali istituite dal Congresso, taglia i fondi a scuole e università, trasforma istituti scientifici e culturali in megafoni di regime, in attesa dello scontro con gli Stati che probabilmente arriverà presto e che trasformerà per sempre gli Stati Uniti (dove comunque, mentre il consenso del gangster in chief cala a picco, le manifestazioni contro le sue politiche nell’ultimo mese hanno radunato milioni di persone, con numeri che salgono di settimana in settimana).
La filosofia del ‘muoviti velocemente e rompi le cose’ ha ispirato evidentemente anche Giorgia Meloni quando all’inizio d’aprile ha deciso di trasformare il disegno di legge 1660, meglio noto come Pacchetto Sicurezza, ormai giunto quasi al termine del suo iter parlamentare, in un decreto legge. L’iniziale proposta di legge, approvata dalla Camera a tempo di record all’inizio dell’autunno, grazie alla crescita delle mobilitazioni contro la legge “fascistissima” e alle critiche giunte anche a livello internazionale, era da alcuni mesi in seconda lettura al Senato, in attesa di essere approvata forse all’inizio dell’estate. Le proteste avevano spinto persino Mattarella a far avere dagli uffici giuridici del Quirinale al governo dei punti critici – che la maggioranza ha dovuto correggere – in relazione alla “stretta” sulle detenute madri e al divieto ai migranti irregolari di detenere delle “sim” telefoniche. Così, però, il disegno di legge è diventato decreto e le sue norme, che riguardano diversi ambiti (dal carcere alle manifestazioni, fino alla cannabis light e ai servizi segreti), sono già entrate in vigore, mentre il Parlamento ha ancora poco meno di due mesi di tempo per convertire il decreto in legge.
La fretta di “rompere le cose” potrebbe però complicare le cose al Governo Meloni. Proprio la trasformazione in decreto legge, in un appello di oltre duecento giuristi diffuso di recente, è stata definita “il primo dei gravissimi profili di incostituzionalità” del decreto, un “vero e proprio vulnus causato alla funzione legislativa delle Camere, attraverso un plateale colpo di mano senza che vi fosse alcuna straordinarietà, né alcun reale presupposto di necessità e di urgenza, come la Costituzione impone”; e già a Foggia, pochi giorni dopo l’entrata in vigore delle nuove norme, è stata la Procura della Repubblica a chiedere al Tribunale di sollevare la legittimità costituzionale nel caso di alcuni imputati chiamati a rispondere di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali nei confronti di due agenti di polizia.
Un’altra delle norme contenute nel Decreto Colpo Di Stato che rischia di far saltare i piani della Banda Meloni è quella sulla cannabis light, finita dentro per motivi che sfuggono ad ogni razionalità che non sia il furore liberticida di fascisti e leghisti. Se da un lato si può capire infatti che un governo impopolare (forte del 60% dei seggi in Parlamento solo grazie alla sciagurata legge elettorale maggioritaria che glieli ha assegnati col 43% dei voti) e buono solo a far porcherie nascondendosi col vittimismo, abbia bisogno di norme contro le manifestazioni e le proteste per difendersi dalla rabbia che certo verrà, è più difficile comprendere perché all’interno di queste norme ci sia finita la cannabis light, priva di THC, il cui commercio è regolato dalle normative europee. Tutte le organizzazioni degli agricoltori (compresa Coldiretti che è quella più vicina alla destra) avevano protestato per le norme contro la canapa che è uno dei settori in crescita dell’agricoltura nazionale. Venerdì 26 aprile, addirittura la Commissione Agricoltura della Conferenza delle Regioni (che comprende anche le 14 regioni di destra) ha approvato all’unanimità un ordine del giorno che chiede al governo di apportare pesanti modifiche (se non di eliminare del tutto) l’art. 18 che mette fuori legge coltivazione, trasformazione e vendita di infiorescenze di canapa a basso tasso di THC, colpendo “un settore, che conta 3 mila aziende e 30 mila addetti”. Pochi giorni prima, invece, la Commissione Europea aveva risposto ad una mail di un’associazione di canapai “dicendo che, dato che il governo non ha fatto la segnalazione al Tris (l’ente europeo che si occupa della “prevenzione degli ostacoli tecnici al commercio”), possiamo andare in un tribunale ordinario e chiedere che la legge venga disapplicata”. Il risultato è che, per ora, a qualche settimana dall’entrata in vigore del decreto, i cannabis shop continuano ad essere aperti, non ci sono notizie di denunce e sequestri e la cannabis light continua ad essere esposta in vendita anche dai tabaccai.
I più ottimisti pensano che la norma potrebbe in qualche modo essere ritirata sia per le difficoltà tecniche sia per rendere meno forte la mobilitazione contro il Decreto Sicurezza che sta diffondendosi in varie città e che culminerà nella manifestazione nazionale del 31 maggio.
Certo è che la furia anticannabis non ha limiti, come dimostra la vicenda del cosiddetto “Nuovo Codice Della Strada”, entrato in vigore a dicembre come decreto legge. Per legittimare “l’emergenza”, in quell’occasione il Ministro Salvini si giustificò con l’aumento delle morti per incidenti stradali tra i pedoni e tra i ciclisti. L’aumento delle morti sull’asfalto di pedoni e ciclisti è dovuto, però, al fatto che le strade urbane in questi stessi anni hanno visto l’aumento della circolazione di mezzi pesanti come i SUV e i camioncini per la consegna delle spese on line, che per il fatto di essere pesanti producono più danni alle loro vittime. Di limitazioni ai mezzi pesanti nelle strade urbane, nel “nuovo Codice” non c’è però traccia e tanto meno di norme per tutelare pedoni e ciclisti (anzi… viene, ad esempio, resa molto più difficile l’istituzione di nuove piste ciclabili). Ci sono, invece, nuove norme che colpiscono chi si trova al volante dopo aver assunto sostanze proibite, che stabiliscono che basta un test positivo (peraltro non ben specificato) per configurare una responsabilità penale, anche se non vi è stato alcun segno di alterazione psicofisica al momento del fatto. Il governo ha infatti eliminato ogni riferimento allo “stato di alterazione”, che nel vecchio impianto normativo era condizione imprescindibile per contestare la guida sotto effetto di droghe. Ora, invece, l’eventuale presenza di tracce di sostanze stupefacenti o psicotrope – anche a distanza di giorni – è sufficiente per far scattare sanzioni che possono arrivare fino a 6.000 euro di multa, un anno di arresto e due anni di sospensione della patente. Per intenderci: nel sangue il THC rimane fino a 7 giorni nei consumatori occasionali e fino a 3 settimane in quelli abituali, nella saliva fino a 72 ore con una singola assunzione e fino a 8 giorni nei consumatori abituali, nelle urine può rimanere anche 60 giorni. Pure questa decisione è stata rinviata alla Corte Costituzionale dal Tribunale di Pordenone dopo il caso di una donna risultata positiva a oppiacei per aver assunto codeina a scopo terapeutico nei giorni precedenti. I giudici hanno sospeso il giudizio e rinviato la questione alla Consulta per il fatto che eliminando il requisito dell’alterazione psicofisica, “il reato di guida sotto l’effetto di droghe si è trasformato da reato di pericolo concreto a reato di pericolo astratto” (per cui non potrebbero essere previste sanzioni così severe), in cui non è più necessaria la prova che l’assunzione abbia inciso sulla capacità di condurre il veicolo. La nuova norma voluta dal governo è stata peraltro giustificata dal fatto che i guidatori che risultavano positivi ai test, nella maggior parte dei casi non venivano sanzionati perché venivano trovati dalle successive visite mediche “non in stato di alterazione psicofisica” e quindi… in grado di guidare!
Le nuove norme anticannabis (anche per la cialtroneria tecnico-giuridica con cui son state fatte) sono l’ulteriore dimostrazione del sadismo profondo che anima fascisti e leghisti, portatori di ideologie nefaste che Erich Fromm sintetizzava nell’avidità di sofferenze umane. Oggi più che mai, per noi “è ora di organizzarsi”.
Robertino